Quaderni Viola “Sebben che siamo donne. Femminismo e lotta sindacale nella crisi” – Una recensione

QUADERNI VIOLA

Recensione dal Manifesto dell’8/1/2012

DONNE E SINDACATO AL TEMPO DELLA CRISI
Francesco Piccioni

Che la crisi in corso sia un mostro mai visto prima, ormai lo capiamo in tanti. Che nel suo svolgersi travolga in misura differenziata soggetti e figure sociali, anche. Ma l’attenzione con cui le donne colgono lati nascosti di questa crisi diventa un aiuto in più per chi – volente o nolente – ci sta dentro e ha necessità trovare vie d’uscita. Collettive, naturalmente. L’agile libretto dei Quaderni Viola “Sebben che siamo donne. Femminismo e lotta sindacale nella crisi” (Edizioni Alegre, appena 5 euro) parte col piede giusto. Il contributo di Lidia Cirillo e Giovanna Vertova, infatti, individua nella crisi la più classica delle “occasioni” con cui il capitalismo di trova ciclicamente a dover reagire al sempre possibile “crollo”. E fin qui lo ha fatto distruggendo alla grande il “capitale in eccesso” derivante dalla sovrapproduzione: capitale finanziario, industriale, mercantile, umano. La guerra, dunque, come ripristino delle condizioni di penuria, riscrittura delle gerarchie globali e occasione di rimessa in moto dell’accumulazione. Fin qui siamo nel noto. Il passo avanti teorico, anche se ancora appena accennato, sta nel vedere all’opera in questa crisi meccanismi che la rendono «endemica e di lunga durata»; in cui la distruzione di capitale agisce fin da subito per vie nuove. E l’impoverimento generale delle popolazioni, la demolizione programmata del “modello sociale europeo”, ne fanno parte a pieno titolo. Al pari e forse più delle guerre vere e proprie condotte però contro paesi «a bassa intensità di capitale», che quindi – pur distrutti – non possono ri-attivare un’accumulazione globale in contrazione. Il grosso del contributo, come si diceva, è però il ruolo delle donne nella lotta sindacale. Non siamo più al tempo delle mondine, che commuovevano perché in fondo poche e “diverse” dalla condizione femminile canonizzata. Oggi le donne, ancorché sottopagate rispetto agli uomini e con un tasso di occupazione inferiore, costituiscono un quota molto rilevante del lavoro salariato: quasi il 40%, in Italia. Ed anche qui l’impostazione di questo gruppo di ricercatrici e protagoniste dell’azione sindacale muove un passo originale rispetto ad altre posizioni storiche nel movimento femminista. Non c’è infatti una ricerca finalizzata alla costruzione di una «piattaforma delle donne», ma a una comune «per il lavoro femminile e maschile, in cui sia presente la dimensione di genere». Lavori in corso, naturalmente, intorno a grandi gruppi problematici al momento racchiusi sotto i titoli «Diritti uguali o differenti», «salario sociale o reddito di esistenza?», «il lavoro di riproduzione e di cura». Lavori in corso perché le differenze teoriche sono in via di limatura, ma – ad esempio sul “salario sociale” – le pratiche rivendicative non hanno ancora prodotto risultati consistenti e bisogna pur sempre contemperare la definizione degli obiettivi con l’inesistenza – nella storia italiana – persino di un reddito di disoccupazione quantitativamente accettabile per durata e dimensioni. Stimolante.

Edizione Alegre – 5 Euro

 

 

 

L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che l’uomo buono non faccia niente (E. Burke)

Conosciamo (quasi) tutti la poesia di Martin Niemoeller, Prima vennero per i comunisti, esempio evidente di come la storia non insegni mai niente. Infatti la possiamo parafrasare così:

Prima tolsero i diritti agli statali

e io non dissi nulla

perchè erano fancazzisti.

 

Poi tolsero i diritti a Pomigliano

e io non dissi nulla

perchè erano terroni.

 

Poi li tolsero agli operai di Mirafiori

e io non dissi nulla

perchè erano dei garantiti.

 

Poi distrussero i sindacati

e io non dissi nulla

perchè erano dei parassiti.

 

Infine cancellarono tutti i contratti nazionali

e buttarono la Costituzione nel cesso

ma non c’era rimasto più nessuno

che potesse dire qualcosa.

Addio anno triste

Ho dato il benvenuto all’anno nuovo nel modo migliore – secondo me: imparando a fare una cosa nuova. Ho imparato cioè a caricare i video su Youtube. Niente di che, lo so, c’è gente che lo fa regolarmente, più volte al giorno. Be’, comunque io ho imparato anche questo, e naturalmente sapere è meglio che ignorare. (Non capisco però perchè ogni tanto si blocca, va a sapere…)

Lo condivido con voi, scusandomi per la tristezza che emana, ma non ho potuto fare altro che registrare gli avvenimenti tristi di un momento tristissimo della nostra storia.  E’ una carrellata di veloci immagini di un anno sprofondato sotto una coltre di bugie, intrallazzi, illegalità, sfruttamento, abusi, povertà, corruzione e becero moralismo.

Il 2011 non può essere altro che l’anno del riscatto, del ritrovare finalmente la spinta alla ribellione e la forza di immaginarci diversi, migliori, non più ripiegati su noi stessi ma con il coraggio di PRETENDERE e LOTTARE per una vita più felice per tutti.

La mia fabbrica

L’altro giorno, ascoltando le recriminazioni e le raccomandazioni che Landini, Fassino e D’Alema si sono lanciati reciprocamente, di provare a lavorare in fabbrica (Landini comunque è l’unico dei 3 che lo ha fatto veramente) con la forza di una saetta mi è tornato  alla mente  un libro che ho letto tanti tanti anni fa, quando ero una giovane ragazza idealista. E’ “La Condizione Operaia” di Simone Weil, la giovane intellettuale (filosofa e mistica) francese che negli anni 30 avrebbe potuto starsene tranquillamente a insegnare al liceo ma volle invece fare una scelta radicale e coerente, abbandonando la scuola e andando a lavorare in fabbrica. Da questa esperienza ne ricavò un danno permanente alla salute, che la porterà alla morte a soli 34 anni, e appunto questo libro.

Ricordo ancora l’impressione e l’influenza che questo racconto ebbe su di me, e oggi, rileggendone alcuni passi, sento che, pur con l’immenso mare di esperienze, tristi e felici, difficili e belle, che mi separa dai miei 20 anni, io, in realtà, sono ancora – un poco – quella ragazza, idealista e intrepida, visionaria e intensa, che sceglieva di allearsi con chi aveva di meno e non con chi aveva già tutto (la parola e il potere). Certo, per molti, un’ingenuità.

Simone Weil, una mistica e una rivoluzionaria

la biografia

Da: La condizione operaia – Simone Weil – Ed. SE

Il 4 dicembre del 1934, Simone Weil fu assunta come operaia presso le officine della società elettrica Alsthom di Parigi […]. Inizia così la fase sperimentale della sua ricerca sull’oppressione sociale che si protrarrà fino all’agosto dell’anno successivo, con due pause imposte da una malattia e dalla difficoltà a trovare un nuovo impiego. Ricerca dolorosa, per il corpo sottoposto a una prova durissima, e per il pensiero costretto a verificare fino in fondo lo stato di abbrutimento fisico e morale a cui gli operai erano ridotti, la loro piena soggezione a un meccanismo produttivo impenetrabile al pensiero. Di questa ricerca Simone Weil volle registrare di giorno in giorno, quasi di momento in momento i dati oggettivi, le reazioni personali, le prove fisiche e psicologiche, i rapporti tra le persone, in una parola la realtà concreta della condizione operaia vissuta dall’interno. Al lettore viene così offerta una rappresentazione della vita di fabbrica condotta al limite della umana sopportabilità. Una rappresentazione fatta di situazioni, di dettagli, di impressioni fisiche e psicologiche, di descrizioni tecniche delle macchine e dei procedimenti di lavoro, di sofferenze e di angosce, ma anche di insperati momenti di gioia per un cenno di solidarietà o per il fugace sentimento di essere partecipi di una operosa vita collettiva piuttosto che succubi di un degradante asservimento al processo produttivo” (G. Gaeta).

Cara Albertine

[…]

Una volta ho avvertito intensamente, in fabbrica, quel che avevo presentito con te, dal di fuori. Era la mia prima fabbrica. Immaginami davanti a un gran forno, che sputa fiamme e soffi brucianti che mi arroventano il viso. Il fuoco esce da cinque o sei fori situati nella parte inferiore del forno. Io mi metto proprio davanti, per infornare una trentina di grosse bobine di rame che un’operaia italiana, una faccia coraggiosa e aperta, fabbrica accanto a me; quelle bobine sono per il tram e per il metrò. Devo fare ben attenzione che nessuna delle bobine cada in uno dei buchi, perché vi si fonderebbe; e, per questo, bisogna che mi metta proprio di fronte al fuoco senza che il dolore dei soffi roventi sul viso e del fuoco sulle braccia (ne porto ancora i segni) mi facciano mai fare un movimento sbagliato. Abbasso lo sportello del forno, aspetto qualche minuto, rialzo lo sportello a mezzo di tenaglie, tolgo le bobine ormai rosse, tirandole verso di me con grande sveltezza (altrimenti le ultime comincerebbero a fondere) e facendo anche più attenzione di prima perché un movimento errato non ne faccia cadere mai una dentro uno dei fori. E poi si ricomincia. Di fronte a me un saldatore, seduto, con gli occhiali blu e la faccia severa, lavora minuziosamente; ogni volta che il dolore mi contrae il viso, mi rivolge un sorriso triste, pieno di simpatia fraterna, che mi fa un bene indicibile.

Dall’altra parte, lavora una squadra di battilastra, intorno a grandi tavoli; lavoro di squadra, compiuto fraternamente, con cura e senza fretta. Lavoro molto qualificato, dove bisogna saper calcolare, leggere disegni complicatissimi, applicare nozioni di geometria Continue reading