E ADESSO VALUTATECI TUTTI!

Ma anche no. Figuriamoci se io potrei accettare di essere valutata da una Gelmini qualunque. Andiamo per ordine. Questo l’estratto della proposta ministeriale, presentata alle scuole di Torino e Napoli già alla fine dello scorso anno, attraverso gli uffici provinciali,e dalle scuole prontamente rifiutata.

Il progetto sperimentale prevede la valutazione dei singoli insegnanti da attuare nel corrente anno scolastico,

coinvolgendo 15 scuole di Milano e Cagliari (Torino e Napoli hanno gentilmente declinato l’invito)

concedendo una mensilità di premio al 20% dei docenti tra quelli che ne fanno domanda e che hanno ottenuto il miglior piazzamento.

Ma chi provvederà ad assegnare il premio? Il nucleo dei “valutatori” sarà composto dal dirigente e da due docenti eletti con voto segreto dal collegio dei docenti “supportati”  dal presidente del consiglio d’Istituto (che, ricordiamo, è un genitore).
Quali saranno gli indicatori?
1. Curriculum,
2. scheda di autovalutazione (???)
3. attività connesse al profilo dei docenti previste dal contratto vigente
4. apprezzamento da parte di genitori e studenti

Cioè facciamo un esempio terra terra: la mia capacità di insegnare inglese potrebbe essere valutata da 2 colleghi che non conoscono la lingua, ignorano (legittimamente, anche) i principi della didattica per la lingua straniera, e magari con uno di loro ho un contenzioso per questioni politico/sindacali e/o personali. E non dimentichiamo che questo allegro trio avrà la facoltà di elargire – o negare – denaro, soldi, money, dinero – pochi, per la verità – ma sempre denaro pubblico.

Ma poi: LORO a chi rispondono? A nessuno. Proprio così.

Ma non è tutto.

Figuriamoci se io non sarei favorevole alla valutazione, SOGNO DA SEMPRE  che un organismo superiore, CHE NE SA PIU’ DI ME, mi valuti. Sono certa di prendere dei bei voti!

Ma:

– con questa struttura e le risorse che ci ritroviamo a seguito di provvedimenti ministeriali che costringono gli insegnanti a improvvisare soluzioni di emergenza (più alunni, meno insegnanti, classi più numerose, meno insegnanti di sostegno);

– con un’organizzazione scolastica che fa acqua da tutte le parti (provveditorati lenti e inefficienti, reclutamento da rivedere tout court, differenze di contesto a volte drammatiche fra zona e zona, tagli di risorse da parte degli enti locali,  sciatteria normativa, che ad. es. prevede gli aumenti solo per il 20% dei “bravi” – e se i bravi sono di più cosa facciamo? Li giochiamo ai dadi?… No facciamo le graduatorie. Ah altre graduatorie…)

cioè in questo modo superficiale e raffazzonato, farsi valutare significa non avere rispetto di sè stessi!

Io non mi faccio valutare da chi ne sa meno di me, ma soprattutto SENZA criteri chiari e condivisi, da una commissione valutante ristrettissima e blindata, e senza aver chiarito come deve essere l’insegnante desiderabile (e se esiste, prima di tutto, e chi lo decide).

E’ una riflessione che va fatta e io INSISTO perché il paese si impegni in questa riflessione. DOPO mi farò valutare senza problema.

E last but not least:

PRIMA si adegui il salario agli standard MINIMI europei (700 euro di aumento secco per TUTTI) POI facciamo partire la valutazione (una cosa seria però) alla quale legare la carriera e tutti i successivi aumenti di stipendio.

Anzi, a chi accusa gli insegnanti di essere dei fannulloni  rispondo che:

Per 1300 euro al mese  molti di noi  stanno facendo anche troppo, chi fa solo il minimo sindacale fa già tanto!

Personalmente ho sempre lavorato il triplo delle ore previste, e nelle scuole dove ho insegnato io la maggior parte lavora così.

Ma farsi prendere in giro no!

Se non abbiamo, noi, rispetto per noi stessi cosa vogliamo insegnare ai nostri alunni? Se non è chiaro a noi che il settore è strategico chi lo deve capire? Il legislatore leghista? Se non abbiamo la coscienza dei nostri diritti, e il coraggio di lottare, fanno bene a umiliarci con queste oscene proposte (d’altra parte, permettetemi una facile battuta, l’oscenità è di casa in questo governo).

Bonjour tristesse 2

La tristezza ha avvolto gli edifici romani del potere specialmente nell’ultima parte di dicembre. Gli ineffabili abitanti di quel particolare tipo di ecosistema che si chiama parlamento non se ne sono accorti – come potevano? i girasoli impegnati a correre dietro al re sole, le girandole impegnate a cogliere il vento, le balenottere a ricalcolare la rotta, i nuovi acquisti a rinegoziare i mutui, la banda bassotti a tenere basso il profilo, i commessi a sedare Rosi Mauro –  ma il loro è inequivocabilmente, malauguratamente, un governo triste e desolato.

L’epitome di tanta cupezza è lo squallido DDL Gelmini sull’Università, una boiata pazzesca che però ha un’unica qualità redentrice: ha ricompattato il movimento degli studenti, che è intervenuto in modo esemplare sulla questione portando allo scoperto la pochezza della “cosa” Gelmini, cioè sì, quella cosa lì, la “riforma”… ma non è una riforma… una “controriforma” allora… neanche. Insomma è una legge che  il presidente Napolitano è stato costretto a firmare il 30 dicembre ma “con rilievi” a causa di criticità presenti nel testo, legge che hanno voluto far passare a tutti i costi nonostante le forti perplessità del mondo accademico (non di quei rettori però a cui verranno conferiti maggiori poteri – curioso).

Intanto gli studenti hanno battuto la capitale fra gli applausi e l’incoraggiamento della popolazione (con disappunto di Maroni che non avrebbe disdegnato un paio di bombe carta, e di Gasparri che non avrebbe disdegnato 2-300 arresti preventivi).

L’Unione degli studenti Universitari ha rilasciato una dichiarazione che più chiara non si può: [la Gelmini] ha avuto piu’ di un anno di tempo per ascoltare le nostre ragioni, l’apertura al confronto dopo l’approvazione di una legge quadro e’ propria di una turista della democrazia. Continueremo la nostra mobilitazione per raccogliere, come abbiamo fatto in questi mesi, lo sdegno verso un Governo autoreferenziale e autoritario”.

L’immagine di vita, brio e passione del corteo studentesco del 22 dicembre è la mia scelta per l’immagine dell’anno, il loro slogan il miglior epitaffio funebre per questo governo triste, triste, corrotto e triste.

Voi soli nella zona ROSSA, noi liberi per la CITTA’

I KILLER DELLA SCUOLA, e gli ignar(v)i fiancheggiatori

Riporto una lettera del dirigente scolastico ANNA MARIA CARBONE, presidente del Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) di Grosseto. Articolo originale

Una lettera che denuncia l’inazione di tanti Collegi Docenti e Dirigenti Scolastici in tutta Italia che, pur in presenza di una sentenza del Tar del Lazio che di fatto sospendeva la “riforma” Gelmini, e nonostante ci fosse l’appiglio della mancata conferma da parte del Consiglio di Stato e del Consiglio Superiore dell’Istruzione, non hanno ritenuto nemmeno di esprimere un parere o far passare una mozione di condanna a un provvedimento che, era chiaro a tutti, avrebbe assassinato il nostro sistema scolastico migliore, quello elementare.

Avremmo dovuto chiedere conto del perchè fossimo costretti, per obbligo di servizio, ad attuare una “riforma” senza il via libera degli organi di controllo, quindi con forti sospetti di illegalità.

Invece niente. Noi insegnanti in sostanza abbiamo fatto nostro il comportamento che in genere condanniamo: il mugugno fuori dai cancelli, silenzio all’interno del tempio!!

Siamo gli stessi insegnanti che formulando gli obiettivi educativi per i nostri alunni inseriamo, senza arrossire, obiettivi ambiziosi quali: “capacità di esprimere il pensiero critico” e via gasandoci.

La verità è che una banda di malfattori ha ucciso la scuola, e un mare di arrendevoli fiancheggiatori (ma dovrei dire arrendevoli fiancheggiatrici, e non è una distinzione da poco) gli ha reso facile il compito. Forse dovremmo guardarci dentro prima del prossimo, pretenzioso, Corso di Aggiornamento.

Disastro scuola: come ci siamo arrivati
Per tutta una serie di circostanze (fortunate o sfortunate, non so) avrei potuto a cinquant’anni (sono del  1960) essere una delle colonne della scuola elementare del paesino in cui vivo con la famiglia. Invece mi ritrovo ad essere il Dirigente scolastico di tante insegnanti uniche e mitiche come quelle che tu hai descritto così bene. Colonne a cui io stessa ho completamente e serenamente affidato mio figlio da piccolo.

Con tutto l’affetto, il rispetto e la considerazione professionale che ho per queste colonne, la loro, ‘incrollabile fiducia nelle magnifiche sorti e progressive della scuola’, ha contribuito al disastro! Sapevamo da più di due anni che il destino della scuola italiana, e soprattutto dell’unica scuola riformata e dai risultati europei positivi (la scuola elementare della riforma degli anni 90), era segnato. Il disastro che oggi si è concretizzato era sotto gli occhi di tutti, a meno che incapaci di intendere o in malafede. Ognuno si è fatto i propri conti e chi ha intravisto aggiustamenti e scappatoie per i propri gruppi di appartenenza (es tocca ai moduli ma non al tempo pieno, tocca ai  più giovani  o ai precari…)  ha pensato si potesse governare la bufera.

In particolare, il personale femminile, maggioranza silenziosa e schiacciante, dalla scuola di base, molto più impegnata, con grande mio rammarico, a dirigere il traffico del pranzo della domenica, matriarche placide e volitive, che a fare la rivoluzione. Perché questo serviva da subito, invece il silenzio degli operatori e delle famiglie, zittite sotto lo sguardo sereno e severo delle … inguaribili ottimiste, e soprattutto  la propaganda hanno fatto sì che ai tagli eclatanti si aggiungessero altre carenze di risorse che hanno fatto il resto.

Come dico sempre affettuosamente alle mie insegnanti: ‘inutile lamentarsi adesso … capisco che per fare la rivoluzione non c’è tempo per ‘le cene e i pranzi di famiglia’, le camicie inamidate, le stanze profumate e spolverate … ma anche per il thè con le amiche o le fughe romantiche… lo stesso tempo che manca perché la professione docente sia esercitata con i tempi e gli approfondimenti dovuti.

Loro non se la prendono, soprattutto, perché toccano con mano ogni giorno uno dei veri punti da riformare radicalmente: il patto antico e scellerato al ribasso tra Stato e mondo sindacale (un patto per il quale ‘ti chiedo poco e ti pago poco’: un patto due volte scellerato perché ha costretto tantissimi meravigliosi professionisti al volontariato e all’autoformazione). Ma anche perché abbiamo condiviso insieme tante battaglie e sanno che continuerò a farlo in prima fila … anche perché non so cucinare.

Anna Maria Carbone”

Protesta di 50.000 studenti a Londra, l’aplomb dei poliziotti inglesi.

Protesta nel centro di Londra degli studenti universitari contro l’aumento delle tasse universitarie deciso dal governo conservatore, con distruzione dell’entrata della sede del partito di Cameron.

Confrontare l’autocontrollo della polizia inglese in questa situazione di estrema tensione,  l’intelligenza tattica di chi ha deciso di non usare la mano pesante con i manifestanti, e il comportamento di quell’isterico funzionario della polizia di Brescia.

Guarda il video

Il rischio era ovviamente che oltre ai danni alle cose ci scappasse il danno alle persone, nello specifico a qualche giovane manifestante, perchè come insegna il G8 di Genova: se un poliziotto spara con una pistola a un ragazzo che tira le pietre, il ragazzo che tira le pietre viene colpito e muore.

Inoltre c’è da sottolineare la solidarietà che perfino i telecronisti dimostrano verso una protesta che è legittima e sacrosanta (al di là del finale pirotecnico, che  ha coinvolto una minima parte dei 50.000) in quanto il nuovo governo Cameron ha triplicato le rette universitarie, già le più alte d’Europa: da 3000 sterline a 9000 l’anno (ca. 13.000 euro). Per la maggior parte degli studenti significa accollarsi i cosiddetti prestiti d’onore che sono dei veri e propri mutui trentennali.

In Inghilterra l’accesso all’università è regolamentato in base al merito e non c’è il problema delle università parcheggio come avviene in molti casi in Italia (con un tasso altissimo di abbandono e di fuori corso, inesistente in UK).

Questo provvedimento significa tornare indietro, a un tipo di società in cui lo studio era una strada aperta solo ai più facoltosi. Professori e media si sono schierati con gli studenti.

E anche i poliziotti sono stati  in grado di parlare con gli studenti e gestire pacatamente  una situazione che, da noi, avrebbe scatenato una guerriglia con morti e feriti. Mi rendo conto che davanti alle devastazioni viste nel video non è una cosa facile mantenere la testa sul collo,  ma questo tipico aplomb inglese dimostra che si può fare e che controllo della folla non è necessariamente sinonimo di repressione fascista. Ed è così che oggi in Inghilterra non c’è qualche famiglia che piange.

Poi le vetrate si riparano.

CALAMANDREI 1950 – Una profezia agghiacciante

“Cari colleghi, noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle Università, affratellati in questo esercizio quotidiano di altruismo, in questa devozione giornaliera al domani. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? […] Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà. […] La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. […] Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione. È l’art. 34, in cui è detto: «La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. […] Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com’è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius […] La scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti.

[…]Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si Continue reading

Lettera a L’Eco della Città 2

Articolo su L\’Eco della Città \”100.000 euro per la scuola\” – 26 ottobre 2010

Gentile direttore,
ho notato che il suddetto articolo è identico a quello pubblicato su Si o No Magazine del 22 ottobre. Come  già fatto col suddetto giornale anche sul vostro vorrei che venissero pubblicate alcune considerazioni e soprattutto alcune rettifiche di dati incorretti.

Il primo dato incorretto è il citato 60% del fondo per il Diritto allo Studio, che l’Amministrazione ogni anno eroga alle scuole, e che secondo l’assessore Forte (o l’articolista) le scuole spenderebbero per materiale di pulizia. Un rapido calcolo ci dice che il 60% di 34.000 euro (a tanto ammonta il fondo assegnato ad ogni circolo didattico trezzanese) fa la stratosferica cifra di 20.400 euro. Ben poco resterebbe per i numerosi progetti che pure in questi anni hanno arricchito l’offerta formativa delle nostre scuole. Non faccio ipotesi sul perchè si debbano leggere tali enormità, ma è evidente che sono numeri del tutto di fantasia.
Inoltre il suggerimento dell’assessore Forte alle scuole di rivolgersi all’ufficio Economato del comune per ottenere il materiale di cancelleria è morto prima di nascere perchè l’Ufficio Economato ha rifiutato tale collaborazione dichiarando che non gli compete.

Tralasciando tali quisquilie c’è un punto molto più cruciale da chiarire, laddove l’Assessore Forte dichiara di voler verificare come viene speso il denaro del Diritto allo Studio (e, suppongo, di subordinarne l’erogazione al rispetto di criteri che però non è chiaro chi debba stabilire. Forse lei stessa.) Ebbene, un controllo sull’utilizzo dei fondi nella scuola c’è già: è compito specifico del Dirigente Scolastico vigilare affinchè le proposte del Collegio Docenti siano in linea con la normativa vigente e il Piano dell’Offerta Formativa. Dunque non compete all’assessore dare indicazioni pedagogico/didattiche, perchè ci sono altre figure professionali il cui compito è precisamente quello. Chiedere inoltre che l’offerta formativa sia riqualificata significa dire che finora tutti i lavoratori della conoscenza di Trezzano hanno fatto un pessimo lavoro. Immagino che questa sia la sua idea personale di rispetto.

Tuttavia chi si occupa di scuola continuerà a lavorare con l’impegno di sempre, e di ciò dovrebbe esserne felice l’assessore: un problema in meno per lei e più tempo da dedicare a quello che è il suo ruolo specifico, e cioè reperire fondi per la scuola. Che ci siano state delle difficoltà non ne dubito, ma che da giugno – come dichiarato – a tutt’oggi la giunta non abbia ancora presentato in Consiglio Comunale il Piano sul Diritto allo Studio (verrà messo ai voti durante il Consiglio del 4 novembre!) non depone a favore dell’efficienza dell’ ufficio Istruzione.

Un’ultima precisazione: nell’articolo si riferisce che il Sindaco Tomasino avrebbe voluto mantenere inalterata la cifra per il Diritto allo Studio, finanziamento “già assicurato fin da quando lui era assessore all’Istruzione”. In genere i confronti si fanno con l’Amministrazione uscente, non con un mandato precedente. Mentre non è certo che nel 2004 l’allora assessore Tomasino avesse stanziato 34.000 per ogni scuola, è certo che l’amministrazione Scundi fino allo scorso anno lo ha fatto, e senza attendere novembre.

Flavia Caimi

Una lettera di rettifica al giornale Si o No

Lettera inviata a:   trezzano-100mila-euro-per-le-scuole.html#comment-form

Gentile Direttore,

faccio riferimento all’articolo “100.000 Euro per le scuole”, pubblicato su Sionomagazine del 22 ottobre, alla pagina di Trezzano sul Naviglio.

Vorrei fare alcune considerazioni in merito a quanto riportato, e inoltre rettificare alcuni dati incorretti. Continue reading

Ai benpensanti: è questa la scuola nuova che volete?

Questo è quanto sta avvenendo a seguito del DISINVESTIMENTO dello stato italiano nella scuola, per mezzo della passacarte Gelmini, agli ordini del grande commercialista Tremonti (e del piccolo Brunetta).

Il taglio di 8 miliardi di euro qualifica la cosiddetta riforma Gelmini come una NON-riforma, in quanto non esistono riforme a costo zero. Ogni riforma seria ha un costo, che si chiama investimento, che produce risparmio ed efficienza dopo i primi anni di rodaggio.

Senza contare che viene pubblicizzata come un buon prodotto, mentre invece è una patacca.

  • LE PAROLE

I FATTI

  • LE 3 I: Impresa, Inglese, Informatica

– Eliminazione degli specialisti di inglese

– confusione nei corsi di studi superiori

– taglio dei finanziamenti alle scuole per laboratori di informatica

  • Classi “ponte”, quote per stranieri (!!)

– Immobilismo totale sull’alfabetizzazione alunni stranieri

– taglio ai  finanziamenti per facilitatori linguistici

  • Disciplina, grembiulini, 5 in condotta  per gli studenti

– sistematica denigrazione dei docenti (ancor più esautorati)

  • Mantenimento e aumento(!!) del tempo pieno

– 80000 insegnanti in meno, precari non riconfermati,  quindi

molte scuole costrette a ridurre il tempo da 40 ore a 27 – 24…

  • Rigore negli studi, formazione per i docenti

– nessuna idea nuova, nessun progetto avviato per formazione e

riconoscimento del merito  per i docenti

– scomparsa delle compresenze, impossibilità di offrire agli alunni

il recupero o il potenziamento

  • Maestro unico (!!)

– classi spezzatino, con 5 – 6 o più maestri che ruotano

  • Lotta all’assenteismo (nella scuola il più basso fra i dipendenti pubblici, a livello dell’industria privata)

– in caso di malattia dell’insegnante, le classi vengono smembrate

e gli alunni distribuiti nelle altre classi (30-32 alunni x classe)

  • Edilizia scolastica   – promessi 20 milioni dai risparmi della politica (!!) e 70 milioni prelevati dall’INAIL (!!)

– Insufficienti, la maggior parte degli edifici scolastici o sono da

ristrutturare o non sono a norma.

  • Finanziamento per il Diritto allo studio

– Enti locali in difficoltà finanziaria. Congelati i crediti che le scuole

avevano nei confronti dello stato, progetti educativi, dattici,

e culturali annullati. Impoverimento dell’offerta formativa.

  • Sostegno alla scuola

– A quella privata. Nella pubblica abbandono dei precari, taglio

al sostegno, decimazione dei corsi serali per studenti-lavoratori

  • Successo formativo

– 25% di dispersione e abbandono scolastico alle superiori. Una

strage e nessun progetto mirato per contrastarla.

Se solo gli utenti uscissero da questo incantesimo di rassegnazione, e cominciassero a solidarizzare, unirsi e sostenere gli insegnanti in difesa di una scuola di qualità, e in difesa dei diritti negati ai loro figli!

Il Corriere della Sera non pubblica la mia lettera. In compenso pubblica un’idiozia.

la-scuola-statale-dequalificata-un-pezzetto-alla-volta

Il 26 settembre avevo scritto al magazine del Corriere per contestare le conclusioni di un articolo da loro pubblicato sull’insegnamento dell’inglese nella scuola elementare. Era un intervento forse un po’ lungo, certamente articolato e senza aneddoti pettegoli, quindi con poco appeal per la pubblicazione. Questo lo avevo messo in conto e non mi lamento.

Ma ecco invece la lettera che pubblicano (Io Donna 9/10/1010):

Mio figlio Francesco ha 10 anni e studia inglese da 5. Ha cominciato a 5, con un corso a pagamento (salato) all’asilo. Alle elementari ha continuato cambiando insegnanti due volte l’anno e accumulando personaggi notevoli: dalla maestra “caso umano” rimossa dopo una sollevazione popolare, a quella fidanzata/sposata/incinta/passata da un congedo all’altro senza soluzione di continuità. Conclusione: Francesco in inglese non sa dire neanche il suo nome. Chiedo a Cristina Lacava, autrice di Niente inglese siamo in classe (Io Donna del 25 settembre): invece di proteggere immeritati posti di lavoro e perdere utili ore di lezione, non sarebbe meglio eliminare l’inglese e non pensarci più? Cordiali saluti.    Firma ecc. ecc.

Complimenti, una lettera di valore. Come dire: a seguito degli ultimi esempi di malasanità nei reparti di ostetricia, non sarebbe meglio licenziare tutti gli ostetrici e chiudere i reparti?

Perchè non leggo lettere di genitori, giustamente esasperati, chiedere, anzi pretendere, maggior attenzione sulla formazione degli insegnanti, maggior rigore nella gestione delle risorse, maggiori investimenti affinchè le situazioni di eccellenza, che in Italia ci sono ma non fanno notizia, si estendano sempre più a tutte le scuole del paese?

Quali iniziative hanno ideato i genitori per chiedere, anzi pretendere il tempo pieno anche nelle scuole del Sud? Non ce ne sono, però ci si sofferma sul “caso umano” e si riduce una situazione ricca e articolata come la scuola italiana allo scandalo del giorno. Naturalmente c’è chi soffia sul sentimento di esasperazione degli utenti, che ha già raggiunto livelli altissimi, e così persegue la demolizione, pezzo a pezzo, di un’esperienza scolastica formidabile,  addirittura con il consenso degli utenti stessi.

Una prova? Da settembre, cioè dall’entrata in vigore della “cosa” Gelmini, che ha eliminato gli specialisti di inglese (cioè gli unici insegnanti che sicuramente avevano una conoscenza apprezzabile della lingua) sono stati obbligati a insegnare inglese insegnanti “generici” dopo corsi di 20 ore, o che hanno studiato inglese, male, 20 anni fa.

Ci sarebbe da denunciare il “caso umano” Gelmini.

Un esempio: in classe V ci si avvicina a Shakespeare cantando, ballando, disegnando e recitando.

 

Diario di un maestro – Ovvero quando la Rai Tv faceva buona televisione.

Cioè in un’altra vita. Nonostante la Rai non fosse un covo di scalmanati progressisti, la programmazione degli anni 70, rispetto all’oggi,  giganteggia per spirito di innovazione e coraggio. Tanto è vero che questo sceneggiato televisivo era stato comprato anche da altre Tv europee. E’ una storia che ho amato moltissimo, aspettavo la sigla con ansia e, pur nella loro vita piena di difficoltà, invidiavo quei ragazzi perchè avevano trovato un maestro così “moderno”, mentre io mi dovevo accontentare di sopravvivere alla noia di certe lezioni.

Nonostante non ci avessi più pensato per anni, sono certa dell’influenza che ha avuto nella mia formazione perchè molto tempo dopo, durante la stesura della tesi per l’immissione in ruolo, ho realizzato che quella storia me l’ero sempre portata dentro, così come i ragazzi di Don Milani e l’esperienza di Paulo Freire.

Ripensando ai miei giorni di scuola, posso dire di essere stata fortunata: amavo leggere e sono stata incoraggiata a farlo dalla mia famiglia. A differenza di alcune mie compagne, cadute e mai soccorse sui gradini di una scuola chiusa, stantia ed escludente.